Ho smesso di masticare
chewing-gum e messo il lucchetto alla “centrale dello spaccio” che per anni ha
foraggiato Vigorsol e Vivident. Un tempo distribuivo confetti al mentolo tra i
banchi di scuola senza pretendere alcun compenso. Sembravamo esseri ruminanti
con una voragine allo stomaco che innescava gli spasmi tipici della fame chimica. A un passo dalla dipendenza cronica, giunse la crociata indetta dalla “Papessa
Rossa”, docente di lingua e letteratura italiana, femminista convinta nonché
anti-fascista, la donna che ha formato e incoraggiato la mia vena scribacchina.
“Chi mastica durante la lezione
paga”, ammonì dalla cattedra sgranando i suoi occhi azzurri, limpidi e perfetti
come il cristallo. Era bellissima. Raffinata e carismatica. Quello sguardo
severo e al tempo stesso materno ci conquistò sin dal primo giorno. I suoi
metodi didattici “rivoluzionari”, fuori dagli schemi, furono una palestra di
vita nella quale imparammo a combattere i pregiudizi e la discriminazione,
imparammo a sognare e a liberare la mente.
Giacché la scuola non è uno sterile
contenitore di nozioni da imparare a memoria, né una pila di libri da sfogliare
distrattamente. La scuola è molto di più. E noi lo scoprimmo insieme ad una maestra
esemplare. Scoprimmo l’importanza di collegare gli eventi storici al presente,
di osservare e analizzare il mondo oltre il recinto delle nostre case. E
naturalmente a sputare quella maledetta cicca.
Qualcuno provò a bluffare,
nascondendola sotto la lingua o appiccicandola sul palato, ma il chewing-gum
detector era infallibile. Ci sgamava sempre.
“Colpito e affondato!”
“Professoressa, ma io…”
“Le regole vanno rispettate”
ribatteva senza dare possibilità di replica all’alunno colto in flagranza di
reato. “Come ben sapete il codice della scuola punisce i trasgressori con una
sanzione cibaria. Sei condannato ad offrire un pacco di biscotti ai tuoi
compagni.”
Le sue punizioni erano dolci ed
aggreganti. Il momento della distribuzione dei biscotti diventava un intervallo
extra, l’occasione per sorridere insieme e riflettere sul vizietto che
funestava generazioni di studenti e che la prof provava a debellare a colpi di
zucchero e farina.
In quegli anni parcheggiammo la
noia fuori dalla porta, sulla quale un buontempone aveva scritto: “Lasciate
ogni speranza voi che entrate”. Varcata quella soglia trovammo l’entusiasmo di
imparare, di leggere e scrivere. Ogni settimana attendevo trepidante l’ora di
attualità, fissata per il venerdì. Prima di recarmi a scuola entravo in
edicola, compravo il giornale e lo infilavo nello zaino. Era un modo per
familiarizzare con i quotidiani locali e nazionali, per cimentarsi nella
stesura di un articolo.
“Cosa spinge un gruppo di ragazzi a lanciare dei sassi
da un ponte?” mi chiesi mentre la penna scivolava sul foglio bianco. Era quella
stessa noia che noi cercavamo di mettere al bando, avventurandoci nel racconto
delle notizie. Provammo anche l’ebbrezza di realizzare un tg: in piedi davanti
alla cattedra, ci alternavamo nel resoconto di fatti e curiosità. Ombrello
nella mano sinistra e un finto microfono nella destra, interpretai l’inviata sotto
la pioggia: dal red carpet della scuola media “Papa Giovanni XXIII” (di Trepuzzi),
scimmiottando Anna Praderio, annunciai la struggente storia del “Re Leone”.