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sabato 27 settembre 2014

TREPUZZI, CITTA' DEL GIORNALISMO


 
Trepuzzi che rinasce, su più fronti. Grazie al fermento culturale e alle idee di giovani che non si arrendono di fronte alla crisi e, nello specifico, di fronte alle difficoltà del comparto editoriale.
Dal 9 al 12 ottobre Trepuzzi si trasformerà nella città del giornalismo, aprendo le porte ai professionisti della penna e non solo, attraverso seminari, incontri formativi, lezioni e workshop.
Dagli open data ai social network, dalla trasparenza amministrativa alla partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle notizie, fino ai cambiamenti di un mestiere che, in quanto tale, non merita il trattamento di un hobby.
Questi i temi delle Giornate del Giornalismo, l’iniziativa ideata dal giornalista Lucio Lussi dell’Associazione Culturale Fermenti Intraprendenti in collaborazione con la Regione Puglia e l’Arti (Agenzia Regionale per la tecnologia e l’innovazione) nell’ambito del progetto Laboratori dal Basso (azione della Regione Puglia cofinanziata dall’Unione Europea attraverso il PO FSE 2007-2013).
L’evento è patrocinato dal Comune di Trepuzzi, dal Gal Valle della Cupa, dal Comune di Squinzano e dall’Associazione Amici di Maurizio Rampino.
Le lezioni e i workshop saranno tenuti da docenti universitari, giornalisti ed esperti del settore, presso l’aula consiliare del Comune di Trepuzzi.
Tra i relatori interverranno Tommaso Labate del Corriere della Sera, Paolo Bracalini de Il Giornale, Michele Mezza, vicedirettore di Rai International, Federico Bastiani (fondatore della prima realtà di social street), Marzia Antenore (docente di comunicazione alla Sapienza di Roma), Ernesto Belisario (esperto di open data) e Sergio Talamo (giornalista ed esperto di trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni) e un nutrito gruppo di giornalisti locali (Marco Renna, Pierpaolo Lala, Mauro Marino, Emilio Faivre, Vincenzo De Filippi, Salvatore Papa).
Le Giornate del Giornalismo rappresentano, inoltre, un utile momento formativo. Ai giornalisti che parteciperanno alle lezioni pomeridiane del 9 e dell’11 ottobre saranno rilasciati i crediti formativi obbligatori dal 2014.
Numerosi gli eventi collaterali. Il giornalista di Rai 3 Fulvio Totaro racconterà il giornalismo agli alunni delle scuole medie ed elementari. Presso la libreria Fanny di Trepuzzi, nella serata di venerdì 10 ottobre, si terrà la tavola rotonda “Il Salento degli scrittori e dei poeti”. L’incontro sarà moderato da Mauro Marino e vedrà la partecipazione di Luisa Ruggio, Osvaldo Piliego, Danilo Siciliano, Simone Giorgino, Ada Fiore e altri.
Le Giornate del Giornalismo si chiuderanno domenica 12 ottobre con il convegno “Un giornalismo libero e indipendente: come costruire una professione autonoma dalla politica”. Parteciperanno all’incontro il responsabile Comunicazione del Pd Francesco Nicodemo, Stefano Cristante (docente dell’Università del Salento), Valentino Losito (presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia), giornalisti, parlamentari e amministratori locali. Il dibattito sarà moderato dal direttore di TG Norba 24 Vincenzo Magistà.
Maggiori informazioni sulla pagina Facebook (Le Giornate del Giornalismo). Iscrizioni alla mail: giornatedelgiornalismo@gmail.com
 

mercoledì 24 settembre 2014

ERAVAMO ADOLESCENTI: STORIE DA TREPUZZI E DINTORNI


N.B. Foto post-adolescenziale
Strani amori adolescenziali, sbocciati ai margini del “Boschetto”, o sulle panchine di Largo Magherita, alias “La Villa”, entrati di diritto nella leggenda come luoghi di rendez-vous e chiacchiere, risate e cazzotti, di passioni nate sotto la luna, scandite dal reggae dei Sud Sound System. Erano i tempi in cui Nando e i suoi compari iniziavano a declinare l’aggettivo Beddhra, omaggiando le muse ispiratrici dellu Salentu. Li vidi per la prima volta sul palco del vecchio campo sportivo, a 16 anni, reduce dalla prima delusione “sentimentale”, nel periodo “più alcolico” della mia esistenza, quando con il resto della comitiva si sperimentavano i cocktail acrobatici di Vincenzino, in quel di Novoli.

Storie di andate e ritorni in sella a uno scooter o a bordo di una Renault 5 prossima alla demolizione, con le amiche di sempre, quando lo studio matto e disperato veniva interrotto dall’atteso squillo del cellulare.



Storie di rock and roll all’aperto e  di Pasquette finite rotolando sull’asfalto, dopo l’olimpionico lancio della focaccia sul lunotto, di bicchieri traboccanti di Canei a San Martino o a San Lorenzo (che fine ha fatto il Canei, amaramente sostituito dalla Tennent’s?).

E ancora, la musica che avremmo voluto ascoltare dal vivo, ma che ingiustamente ci è stata negata, perlomeno agli albori dell’adolescenza. Un fatto riprovevole, rimasto impresso come una cicatrice nella memoria di molte mie coetanee: l’annullamento del concerto di NEK, al secolo Filippo Neviani, organizzato allo stadio Vittorio di Trepuzzi, nel lontano 1997. Ero pronta, eravamo pronte, davanti agli insormontabili cancelli col biglietto in mano, ad assistere alla perfomance del nostro idolo dagli occhi di ghiaccio.

La copertina del disco incriminato
Lo avevamo sognato per mesi, dopo aver imparato a memoria le tracce del suo ultimo lavoro “Lei, gli amici e tutto il resto”, su tutte “Laura non c’è” e “Cuori in tempesta”. Disco acquistato a Ferragosto, in versione cassetta tarocca (dalla bancarella di C********A), e ascoltato più volte nell’Audi 80 di mio padre, mentre il resto della famiglia faceva il bagno nelle acque di Riva degli Angeli.



“Nek, perché non Ci sei tu, Nek?” Fummo sull’orlo di una crisi isterica. Accadde senza preavviso. Palco sprofondato? Compenso non accordato? La faccenda rimase avvolta nel mistero. Con un’unica triste conseguenza: il concerto non s’ha da fare.
Semmai, ci avrebbero rimborsato il costo del biglietto, 36.000 lire, unico sollievo in quella valle di lacrime. Abbiate pietà, eravamo solo delle QUATTORDICENNI!
Segue…

 

 

30 MARZO 1983



Mi abituai a vivere circondata da donne vestite di nero: intorno a me, era il colore predominante. Nel primo nebuloso anno di vita distinguevo i volti familiari in base a ciò che indossavano.

Il perché lo avrei scoperto alcuni anni dopo. Non ricordo con esattezza l’istante di quella rivelazione, giacché ci sono momenti dell’infanzia di cui si ha una consapevolezza sfocata, appartenente a un altro mondo. Eppure costituiscono un’incrollabile certezza della propria esistenza.

Il mio facciotto, da cui spuntavano occhi grandi e rotondi, prediligeva il contatto con figure femminili avvolte in abiti scuri, e andava schivando le sagome colorate.

Era così da quel mattino di primavera in cui la terra si era dipinta di polvere rossa caduta dal cielo. Il giorno della mia nascita innescò un incendio di emozioni, che avrebbe lasciato focolai lungo la strada per un tempo indefinito.

Nessuno aveva osato raccontare la verità. Nessuno ebbe la forza di lacerare le calde viscere materne con la lama tagliente del dolore. Un dolore inspiegabile, irrazionale, che stritola l’anima. Un tiro mancino pianificato dalla sorte, o forse un’atroce casualità. La vita che si scontra con la morte. O la morte che cede il passo ad una nuova creatura, in una staffetta esistenziale voluta chissà da quale dio. Quel dio a cui non ho mai stretto la mano, per rabbia, per mancanza di fede.

Le lacrime di gioia divennero lacrime amare. C’era un uomo provato dalla sofferenza lungo il viale di casa, che con un incedere lento, con l’inconfondibile  suono di passi strascicati, accompagnava la sua sposa verso il riposo eterno. C’erano anche i suoi figli, il più giovane appena diciottenne, disorientato tra lo sciame di parenti. All’appello mancava Aurora, la più giovane delle figlie femmine, diventata madre poche ore prima.

“Maria Pia, chiamala Maria Pia, come tua madre…”

Mentre il mio nome era stato deciso e scritto, la terra si accingeva ad accogliere le spoglie di nonna.

Il 30 marzo, il giorno della mia nascita, coincise con la sua morte. Il cuore fragile di una donna gentile e buona, cessò di battere, poco dopo aver appreso la notizia del lieto evento. Un infarto impietoso, più aggressivo rispetto al precedente, se la portò via durante la corsa in ambulanza. Nel suono della sirena si spense il suo ultimo alito di vita, si spense la bellezza di una nonna che non ho mai conosciuto, fu scritto il capitolo di una figlia che non ha potuto dire addio alla madre.

Lo scoprì al rientro dall’ospedale, dopo aver raggiunto la vecchia casa di via Mazzini. Aurora esplose in un urlo e pianse singhiozzando, senza tregua, senza riuscire a trovare pace. Viveva il lutto fra lo strazio e il tormento di un’ingiustizia divina. Ma la sua forza era sorprendente. E il suo amore nei miei confronti non ha mai vacillato, nonostante il trambusto iniziale.

Fu la prima a togliersi di dosso quegli abiti neri, per riportare il sole sul mio viso. Anche se le nuvole, si sa, vanno e vengono. Come nel giorno del mio compleanno, da bambina, quando nonno mi stringeva a sé piangendo, cercando tra i miei capelli l’odore della moglie. O quando, nel momento in cui spegnevo le candeline, un prete celebrava la consueta messa commemorativa.

Nel mio destino c’era quel nome composto, Maria Pia, legato a quel preciso evento. Oggi, da adulta, ritrovo il nero nel buio della notte. In compenso, il mio guardaroba è pieno di abiti dai colori vivaci, come la stagione che mi ha messa al mondo.