Si avvisano i gentili lettori che quanto segue è dettato dall'ironia.
“San Nicola, fa che non rimanga zitella come mia zia! San Nicola, fa che le mie amiche trovino marito e diano alla luce un paio di marmocchi a testa! Ti prego, San Nicola, prometto solennemente di rispettare gli assurdi dogmi imposti dal cattolicesimo, che non sto qui ad elencare. Per essere più convincente, se lo desideri, verrò a pregare in chiesa ai piedi della tua statua ogni domenica d’agosto, mentre il resto degli umani è a mollo nelle acque cristalline di San Gregorio, tuo nemico giurato. Ti supplico, ti scongiuro… San Nicola, sii clemente, abbi pietà di noi”.
“San Nicola, fa che non rimanga zitella come mia zia! San Nicola, fa che le mie amiche trovino marito e diano alla luce un paio di marmocchi a testa! Ti prego, San Nicola, prometto solennemente di rispettare gli assurdi dogmi imposti dal cattolicesimo, che non sto qui ad elencare. Per essere più convincente, se lo desideri, verrò a pregare in chiesa ai piedi della tua statua ogni domenica d’agosto, mentre il resto degli umani è a mollo nelle acque cristalline di San Gregorio, tuo nemico giurato. Ti supplico, ti scongiuro… San Nicola, sii clemente, abbi pietà di noi”.
Mi svegliai in piena notte in un
bagno di sudori, mentre dalle mie labbra fuoriusciva un filo di voce implorante
il Santo. Ero al brusco risveglio da un incubo seriale che mi perseguitava da
tempo, disturbando impunemente il mio sacro riposo. Sinuose figure femminili dalle fattezze di Eva Kant si impossessavano dei nostri uomini, lasciandoci sole, in eterno. Spalancai gli occhi e
afferrai il bicchiere lasciato sul comodino la sera prima, tracannando acqua al
pari di una dozzina di cicchetti dell’amore sormontati da riccioli di panna,
come quelli gustati anni addietro al bancone del mitico Est Cafè, ritrovo per
universitari alla disperata ricerca del senso della vita. Le mie amiche,
invece, cercavano in tutti i modi di cancellare dalla carta d’identità il
marchio dell’infelicità, quell’aggettivo infamante che rendeva la loro esistenza
vacua e triste. Non c’è offesa peggiore che dire a una donna “sei una povera NUBILE”.
Alias zitella, il contrario di colei che con un gioco di prestigio convola a
giuste nozze nell’arco di 3-5 mesi, non prima di aver ricevuto dal malcapitato
un anello tempestato di diamanti. L’inesorabile scorrere del tempo,
superato il traguardo dei 30 anni, ha le sembianze di un trapano che perfora
l’animo, lasciandolo sfinito in un cassonetto dei rifiuti, soprattutto se
mentre canti sotto la doccia sogni i fiori d’arancio, la marcia nuziale e una
pioggia di riso e confetti col ripieno alla vaniglia.
Ho conosciuto la leggenda di San
Nicola nel corso dei preparativi di una puntata di “Salento d’amare”, programma
televisivo dedicato alle tradizioni e alle peculiarità della Terra d’Otranto.
Tra diavoli, streghe ed eroici guerrieri, talvolta mi sono imbattuta nelle
oscure agiografie di Santi nostrani, venerati dai fedeli nei secoli dei secoli.
Spesso la devozione valica il confine dell’intimismo, trasformandosi in
condivisione, ben oltre la preghiera. Nel Sud Italia, rendiamo grazie ai Santi
facendo festa. Al calar del sole, dopo lunghe processioni che attraversano i
borghi come serpenti tra gli ulivi, si dà fuoco alle polveri: le luminarie si
accendono incorniciando la banda dei musicanti, le case si svuotano e le
bancarelle, traboccanti di scapece e mostaccioli, diventano rifugio di bambini
paffuti, avidi di dolciumi e cianfrusaglie.
La città di Maglie celebra il
Vescovo di Mira nella prima decade di maggio. Lo elesse Santo patrono nel
lontano 1807, quando le sue immortali spoglie furono trafugate dal Medioriente
fino a Bari. Secondo gli agiografi, Nicola fu di una generosità proverbiale:
impedì a un ricco signorotto decaduto di avviare alla prostituzione le sue tre
figlie. Le difficoltà economiche dell’epoca avrebbero impedito alle fanciulle
di arrivare sull’altare, ma il Santo entrò di soppiatto nell’abitazione per tre
notti di seguito dispensando tre sacchi di monete sonanti. Un bel gruzzolo, capace di far gola a qualunque uomo in odor di matrimonio. Persino il sommo
Dante cita l’episodio delle monete nella Divina Commedia, per bocca di Ugo
Capeto.
Lo status di zitella era dunque
ritenuto un castigo inflitto dalla provvidenza, ma una simile interpretazione
non andava a genio al poeta neretino che, all'alba del XX secolo, scrisse i versi di “Malidittu l’amore”. Francesco Castrignanò descrive le zitelle come bianche e dorate
farfalle che svolazzano da un fiore all’altro. “Con me non c’è nessuno che si
innamori, forse morirò zitella” suppone il poeta. Ma forse, care ragazze, è
meglio così. “L’amore è maledetto - avverte lo scrittore - e i figli accrescono
le pene”.
Se invece agognate l’abito
bianco, non resta che rivolgervi a San Nicola, proprio come avveniva in passato
nel Salento. Vi svelo la formula magica: “Santu Nicola miu, se nu me mariti, paternosci de mie nu ne spettare”.
E vissero felici e zitelle!
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