Post più popolari

lunedì 12 gennaio 2015

MOMENTI DI GLORIA

“Signore e signori, The Solar System.” Applausi. Clap, clap, clap. Dal pulpito dei comizi adattato a palcoscenico, il gruppo vocale nato tra i banchi di scuola (diretto dal maestro con la passione per le chitarre e l’astronomia) si esibì in un playback memorabile, dal quale presi le distanze a pochi giorni dalla performance ai piedi di Largo Margherita. Il brano, di cui conservo gelosamente il testo, era un inno alla resistenza giovanile, uno sprone alla generazione X, “figlia di Tangentopoli e nipote della Prima Repubblica”.

Titolo della hit: “Don’t let down”, incisa in italiano e in inglese, tra le mura insonorizzate di un vero studio di registrazione, arroccato nel Capo di Leuca. Lasciai agli altri membri del gruppo, ovvero ai miei compagni di classe (mediamente intonati/stonati), l’onere del debutto in piazza. La vergogna impedì il decollo della mia carriera canterina, che finì per naufragare nei karaoke tra amici o, peggio ancora, nel salotto di casa sulle basi del “Canta tu”. 

Il maestro notò casualmente la mia “propensione canora”, durante il classico precetto pasquale che da copione prevedeva l’esecuzione di “Imagine” e “Another brick in the wall”, con una pronuncia corale da brividi. Sia chiaro, se avessi avuto un talento reale, mi sarei iscritta a una scuola di canto. Ero sì più intonata dei miei coetanei, ma mai avrei eguagliato gli acuti di Giorgia. Per fortuna, dirà qualcuno.

In quegli anni sperimentai pure l’ebbrezza di agitare pon pon da majorette, al fianco di alcune inossidabili amiche di infanzia. Divisa verde, per volere della Pro Loco, e tutte in marcia verso l’ignoto, al ritmo di motivetti a stelle e strisce. L’adolescenza è una brutta bestia. Toglie il senno, oltre alla bellezza.

Ci avevo già provato da bambina, a incrociare qualche passo di danza, quando partecipai alla quadriglia dei primissimi anni '90, che colorò le strade del paese in occasione del Carnevale. Divertente, ma… voglio essere sincera: l’attività motoria, dall’arte coreutica allo sport, non ha mai costituito il mio punto di forza. L’unica materia in cui abbia preso un voto inferiore al 7 (oltre alla matematica), è sempre stata l’educazione fisica. Odiavo quell’inutile lezione che mi costringeva ad indossare tuta e scarpe da ginnastica. Schiappa a pallavolo, schiappa nel salto in alto. Una tortura psico-fisica. Con una sola eccezione. La corsa ad ostacoli.

Ehm, a che ora suona la campanella?

domenica 11 gennaio 2015

IO CANTO

L’essenziale è primeggiare. Lasciare il segno, e in fretta. Con questa convinzione ho visto orde di persone sgomitare, parlare a sproposito e dispensare falsi sorrisi, pur di raggiungere obiettivi in campo scolastico, lavorativo, sociale. Qualcuno, machiavellicamente parlando, ci è riuscito. Chapeau.

Io ho sempre preferito dire la mia in un secondo momento, o addirittura rimanere in silenzio, sopraffatta dall’eccesso di loquacità dei miei simili. Circondata da mani alzate, pronte a dare dimostrazione di bravura, di personalità, di ambizione e intraprendenza.

Tutto e subito. Vogliono tutto e subito, gli umani alla ribalta, temerari e con le palle quadrate. “Dovresti osare di più, è questo il tuo problema “ esclamò il Grande Capo con fare arrogante, nel corso di una riunione che lasciava presagire il culmine della crisi aziendale. La tv era ai titoli di coda, in pieno ammutinamento. Una defezione dopo l’altra, che però non avrebbe scalfito l’orgoglio imperiale e imperioso di Sua Maestà, il ‘biscione salentino’, ideatore e fondatore del movimento “Apulia domus mea non est”.

Qualcuno, tuttavia, apprezzava i miei modi pacati e sobri. Il Capo no. Lui che senz’altro ignorava la mia predilezione nei confronti della parola scritta, proprio come quando a scuola storcevo il naso in prossimità delle interrogazioni (vuoi mettere la serenità di una penna e di un foglio bianco rispetto alla faccia inquisitoria del prof? ).

Eppure la tv mi affascinava, e fu quella la sfida personale intrapresa anni prima: placare la timidezza, che per anni mi aveva rappresentata, mettendola a tacere a favore di un pizzico di sfacciataggine, di sano egocentrismo. 
L’ansia, mia compagna di vita, galoppava senza freni, impedendo un’emissione vocale naturale. Percepivo, nelle prime dirette, l’influenza negativa di quella fottutissima paura, che dopo un po’ di tempo ho saputo convertire in adrenalina. Tra 5 minuti in onda. Tachicardia. Sudorazione. “Datemi un calmante, vi supplico!”

“Ce l’hai fatta stupida fifona, ce l’hai fatta” pensai guardandomi allo specchio nei mesi successivi. La scommessa era  vinta. Con me stessa. Era la conquista di un grammo di autostima, di sicurezza, contro quel vuoto che per troppo tempo aveva causato la vertigine dell’anima. Accadeva già da bambina, da adolescente, lontano da casa, durante un viaggio, fuori dal mio letto. Quel senso di inquietudine dettato dalla novità.


Le vertigini vanno e vengono: è importante, però, imparare a conviverci, come in una danza perenne che è sinonimo di lotta e sudore.  L’essenziale non è primeggiare. L’essenziale consiste nel compiere quei piccoli passi che segnano il nostro cammino.