Il sole ha deciso di riprendersi la scena, squarciando quel
fastidioso velo grigio che aleggiava da settimane sulle nostre teste,
nonostante l'arrivo di maggio. I suoi raggi filtrano tiepidi dalla finestra,
creando un caleidoscopio di colori tra le suppellettili di cristallo che
popolano l'antico mobile ereditato dalla casa dei nonni.
Intorno, un religioso silenzio, interrotto soltanto dalla scia di
qualche auto in corsa verso la frenesia quotidiana. Sul patio osservo il
brulicare di vita animale e vegetale, respiro a fondo l'aria frizzante delle
sette del mattino, intrisa di aromi primaverili. Tra qualche ora la mia pelle
avvertirà il tepore che preannuncia l'estate. Chiudo gli occhi e ricordo.
Ricordo la spiaggia dell'infanzia e dell'adolescenza, il mare che ci scrutava
imperturbabile tra le peripezie acrobatiche di tuffi e capriole, salvo poi
sfidarci con l'irruenza delle sue onde.
La casa delle vacanze, per gli squattrinati come noi, ha sempre
rappresentato un miraggio: la mia banda rientrava nella schiera dei pendolari.
Uniti nella cattiva sorte da un unico motto, divenuto mantra:
"Accontentati di ciò che hai, e così sia".
All'epoca, tra i nostri averi figuravano una Ritmo, una 500
vecchio tipo, una Panda celeste col cofano bruciacchiato, e una Seat Ibiza, gli
unici mezzi di trasporto posseduti dalla sciagurata stirpe cui appartengo.
Macinini che miracolosamente si trasformavano in scuolabus estivi alla
conquista della costa adriatica. Proprio così. Era questo il piano che per anni
misero in atto le sorelle De Lorenzis, madri scrupolose in tutti i frangenti,
tranne uno: quello delle gite al mare. Scirocco o tramontana, di prima mattina
caricavano i propri pargoli a bordo delle famigerate auto, alla stregua di
sardine in scatola o come buoi stipati in un treno merci. Nel tragitto verso
Casalabate, io e i miei cugini grondavamo di sudore, appiccicati gli uni agli
altri, dagli arti superiori fino alle caviglie. Avrei aperto volentieri lo
sportello per fare accomodare on the road uno degli adorati consanguinei, uno a
caso, pur di godere di qualche grammo d’ossigeno in più, ma la mia
fama da brava bambina mi faceva puntualmente desistere. E così il sacrificio di
massa si ripeteva per 22 kilometri, fra andata e ritorno, ogni qualvolta le
nostre accompagnatrici decidessero di trascorrere mezza giornata sulla spiaggia
di Casalabate, la porta del Salento, per lungo tempo abbandonata all'oblio dei
leccesi, cultori di San Cataldo e Torre Chianca. Poi, per la "Cenerentola
dell'Adriatico" arrivò il giorno della rivincita grazie agli indomiti cavalieri di
Trepuzzi e Squinzano, che la riscattarono a colpi di referendum. L'orfanella
riabbracciò i suoi genitori naturali, salutando per sempre Lecce, la matrigna
snob e senza cuore.
Casalabate si odia o si ama. Chi ha avuto la s-fortuna di nascere
nei dintorni, non ha conosciuto altre località balneari fino alla maggiore età.
Con l’invidia nei confronti dei bagnanti di Porto Cesareo e Torre dell’Orso,
siamo cresciuti a un soffio dal mostro di Cerano, che da bambina osservavo
incuriosita durante l’edificazione di castelli di sabbia. Cerano ha l’aspetto
di un presagio che si allontana o si avvicina a seconda della direzione del
vento; è uno spettro che si dissolve dietro il muro della foschia, per poi
riapparire in tutta la sua inquietudine.
Mi sono sempre chiesta cosa fosse quel
cilindro allungato dal quale uscivano nuvole di fumo. Col passare del tempo ho
risolto l’enigma: si tratta della ciminiera di una delle centrali
termoelettriche più inquinanti d’Europa, di proprietà dell’Enel. Anche se, per
un breve periodo, provarono ad ingannarmi con la storiella del parco-giochi.
Enel ha dato lavoro a migliaia di persone delle province di Brindisi e Lecce,
tra cui mio zio, che un giorno mi portò a visitare il maestoso impianto, dotato
di spazi verdi e di un’area relax pensata per i figli degli operai. Cerano non
è solo carbone: sa offrire momenti di divertimento, mentre qualcuno è impegnato
a nascondere sotto il tappeto la polvere nera che si posa come rugiada sulle
case e sulle coltivazioni a ridosso del nastro trasportatore. Negli anni ‘80
Lido Cerano rappresentava uno degli scorci più esclusivi del litorale sud
brindisino. Poi, nel 1992, fu eretta la centrale “Federico II”. E la mia
Casalabate cambiò volto. Il panorama fu deturpato, per sempre. L’aria che
respiriamo inquinata, senza possibilità d’appello.
Quando la rabbia bussa alla mia porta,
inforco gli occhiali da sole, salgo in macchina e mi affido alle carezze del
mare di Casalabate.
Cambiano i tempi e cambiano le storie. Il problema è che stanno cambiando in peggio. Fosse finita qui. Ho l'impressione per non dire la convinzione che continueremo ad andare sempre di più nella direzione sbagliata!!!!!
RispondiEliminaIl parco del terrore. Fortunatamente tanto è cambiato dal duemilaquattordici, per chi può ancora raccontarlo.
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