Lo stupore della neve ci colse a
bassa quota, in fase di atterraggio.
La gente del Sud è abituata a
convivere con la luce del sole, con l’andirivieni del mare, conosce bene la
pioggia e il vento, ma alle latitudini del Mediterraneo la neve è considerata
una rara espressione atmosferica, un’eccezione.
E’ un’emozione inedita che ho
avuto la fortuna di incrociare un paio di volte: la prima da bambina, la
seconda intorno ai 18 anni. Avevo lasciato la sede dell’Università prima che il
cielo ci incantasse con una nevicata liberatoria, spargendo sulle campagne un
soffice manto bianco che cresceva di ora in ora. Nevicò tutto il giorno, fino a
notte fonda. La mattina seguente le scuole rimasero chiuse. Ricordo le
automobili parcheggiate ai bordi delle strade e frenetiche mani da bambino
intente a sbriciolare blocchi di neve, trasformati all’occorrenza in munizioni
che sarebbero servite per assicurarsi la vittoria di una “battaglia” senza
precedenti.
Trepuzzi-Largo Margherita (Dicembre 2001) |
Anni dopo avrei rivisto la neve,
lontano dalla mia terra.
Parigi era scintillante. La
osservavo (dall’alto) distendersi a perdita d’occhio con fare elegante, tra il
luccichio dei suoi notturni e il candore della neve che era caduta in
abbondanza per 72 ore di fila.
La bufera aveva paralizzato
l’Europa del Nord, bloccando per tre giorni l’aeroporto Charles De Gaulle.
Nonostante il notevole ritardo, il 7 gennaio 2009 salii a bordo del velivolo
che mi catapultò nella Ville Lumière. Dall’oblò individuai l’Arc de Triomphe e
la Tour Eiffel… La città più romantica del globo terrestre era pronta ad
accogliermi: le tesi la mano, noncurante della temperatura polare e nonostante
le insidie nascoste lungo le vie di Parigi, trasformate dal gelo in chilometriche lastre di ghiaccio.
Non ero sola, per fortuna. A
vegliare su di me c’era l’inseparabile compagno di viaggio e di vita, avvezzo alle tempeste del
bipolarismo femminile e ai miei malanni itineranti.
Parigi - Gennaio 2009 |
Tutto sommato, nonostante Gerard
Depardieu (reo di aver sfidato la movida leccese) e nonostante il furto della
Gioconda, j’àdore la France e il suo
raffinato idioma. Una liaison alimentata
da ragioni genealogiche e culturali.
La meno rilevante riguarda la mia
formazione scolastica e nello specifico il triennio delle medie. “Booonjourrrr,
booon boonjour. Ripetete bonjour facendo attenzione alla pronuncia nasale”. Fu
questo il biglietto da visita della docente di francese che aveva insegnato
l’ABC della nobile lingua a intere generazioni, suscitando risatine tra i
banchi. “Scrivete Je m’appelle Nicolas fino a riempire cinque pagine”.
L’ho scritto fino alla nausea, corredato da indirizzo, luogo, orario e
situazione metereologica. Poi arrivò la coniugazione dei verbi, “da imparare a
memoria come il 5 Maggio”.
Il perfezionismo didattico
provocò una forma di allergia dilagante sui 2/3 della classe. Il girone degli
svogliati guardava in cagnesco il girone dei secchioni che manifestavano
interesse verso una lingua diversa. Ero molto affascinata dal francese, anche
per l’orgoglio di avere uno zio emigrato in Francia, che viveva da anni nelle
vicinanze di Parigi.
Aveva imparato il francese nel
giro di pochi mesi, ma non avrebbe mai dimenticato la lingua del suo paese d’origine.
“Il mio eterno riposo sarà in Italia” ammoniva rivolgendosi ai parenti dalla
erre moscia. In preda alla rabbia imprecava nel suo dialetto, e proseguiva
nella sua arringa alternando l’italiano al francese. Zio T. era un concentrato
di tenerezza e comicità, che al momento opportuno metteva tutti in riga con il
piglio patriarcale tipico degli uomini meridionali.
Tour Eiffel - Estate 1992 |
“Zio, vorrei un panino al
pomodoro”, sussurrai all’ombra della Tour Eiffel durante la mia prima vacanza
all’estero. Avevo nove anni e la mia irruente italianità pareva già matura.
Zio T. spalancò gli occhi e
sorrise a crepapelle: “Ma qui vendono baguette
avec beurre et jambon, non sei in Puglia”. Rassegnata, azzannai la
croccante baguette, prima di salire sull’ascensore che ci avrebbe portato in
cima alla torre.
A quei tempi l’aereo era un
lusso. Arrivai in Francia sul finire dell’estate a bordo di un “Pony Express” partito
dalla stazione di Brindisi. Viaggiavo in compagnia di due zii e di due cugini.
Impiegammo 26 ore per giungere a destinazione: una traversata oceanica,
permeata dal cattivo odore dei sedili in pelle della vecchia locomotiva, e
intervallata da scorci di paesaggi mai visti prima d’allora: su tutti il Monte
Bianco.
Era solo l’incipit delle mie
avventure da “giramondo”.
Spero che tanta altra gente abbia ricordi e storie da raccontare allo stesso modo con cui vengono qui raccontate egregiamente dall'autrice, come quella del pony express e come quella del citato zio T. Significherebbe che tanta altra gente non ha vissuto inerte la sua esistenza
RispondiEliminaIl panino al pomodoro. Spalancare ricordi.
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