Venuto alla luce il Salvatore del
mondo, lo scambio dei regali assumeva puntualmente le sembianze di un
Portobello di bassa lega. Sul divano della casa presa in affitto cresceva
l’accozzaglia di cianfrusaglie, molte delle quali reperite last minute dalla cartoleria
dietro l’angolo. Ogni Natale la stessa scena. Lo stesso film. Regali fatti “con
il cuore” ad ogni singolo componente della comitiva, che per estensione era
equiparabile alla più numerosa tribù degli Aztechi mai riportata sui libri di
storia. Penne e matite erano in cima al paniere dei doni natalizi, insieme agli
immancabili e inutili portachiavi, dispersi da tempo per le strade del mondo, magari
stipati nei bidoni dell’immondizia. Sì, accadeva anche questo. Perché la
locuzione latina “De gustibus non est disputandum” non può essere ritenuta verità
assoluta. Soprattutto se ricevi in dono un qualsiasi oggetto non meglio
identificato, foderato con della carta da parati. Il kitsch non deve essere
giustificato in alcun modo. E’ spazzatura.
Servirebbe dunque un nuovo
pensiero filosofico, da diffondere tra gli abitanti del pianeta: non più il
riciclo di strenne di cattivo gusto da rifilare ai propri nemici, bensì il
divieto di acquisti orripilanti, al fine di incrementare il risparmio globale, con
buona pace dell’economista John Maynard Keynes, che ci ha inculcato il vizio di
spendere, trasformandoci in una massa di consumatori dalle mani bucate.
Qualche cambiamento, ringraziando
il cielo, c’è già stato: con il passare degli anni, siamo riusciti a ridurre la
cerchia degli eletti, portando la lista dei regali ad un numero ragionevole,
contribuendo così a ridurre i livelli di panico pre-natalizio che ci affligge
da sempre. Scusate, piccola parentesi. Mi sovvengono in questo istante i
bellissimi braccialetti ricevuti in dono da un caro amico emigrato nella
capitale, degni degli accessori di Barbie. Era il 25 dicembre del 2009 (?).
Tutto ciò avveniva, come di
consueto, tra le mura di una gelida catapecchia, che decoravamo senza particolare
slancio artistico, per una mera parvenza natalizia. I tappi degli spumanti
prendevano il volo insieme ad improvvise imprecazioni da osteria, dettate
dall’alcol o dalla rabbia scaturita da una disfatta al tavolo da gioco. La Casa
delle feste, in realtà, era una bisca. Memorabili le gesta di colei che barava
con destrezza, truffando chiunque le capitasse sotto tiro. Nessuna pietà:
l’imperativo era vincere. Che si trattasse del gioco del “Morto”, conosciuto
anche come “Asu ca fuce” (l’asso che fugge),
del Mercante in fiera, dei
mazzetti, o di quella diavoleria statunitense delle carte da UNO, l’effetto
sortito era sempre lo stesso: un gruppo di ludopatici pronti ad inventare
qualsiasi tranello pur di mettere in saccoccia il gruzzolo di monete custodito nel
bicchiere di plastica. “Scunzamuuuu!” Una voce si levò in preda all’ira
funesta, dopo un +4 rifilato dall’avversario (vedi regole del gioco UNO). Non
avrei potuto sopportare l’ennesimo fardello. Mi alzai dalla sedia e con uno
scatto felino misi fine a quella tortura mischiando le carte sul tavolo. “Che
abbia inizio una nuova partita.” Un vero coup de théâtre.
Ma nessuno ha mai raggiunto i
livelli di colui che si ingegnava nel gioco del morto per rubare le vite ai
sopravvissuti. La sua condanna era morire prima degli altri. La nostra subire i
suoi stratagemmi. In molti ci sono cascati, aprendo bocca e cedendo la vita al
diabolico zombie. Sillabava offese provocando l’avversario, offriva birra e
cioccolatini, rubava borsette e cellulari estorcendo risposte telefoniche.
Litri di lacrime sono stati versati grazie alle sue trovate geniali.
Ed eccoci, a pochi giorni dal
Natale, che coincide con un compleanno speciale, ancora una volta di
corsa, alla perenne ricerca del regalo
giusto. Il tasso di schizofrenia è alto, il portafogli sempre più vuoto. Tra
epurazioni e new entry, siamo sempre quelli che si ritrovano a mezzanotte per
lo scambio dei doni e degli auguri, tra
risate e baruffe. A proposito, ragazzi… che si fa a Capodanno?
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